contro- intestazione

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Si scrive Steve Hackett, si legge GENESIS


Ma come si fa a ridursi così. Me lo sto chiedendo al termine del concerto di Steve Hackett, chitarra solista e ossatura dei Genesis del bel tempo andato. Quello ridotto "così" non è Steve Hackett che ha 22 anni più di me. Sono io il rottame: senza voce, sudato e con gli occhi rossi. Rossi per le lacrime che mi son naturalmente uscite quando ho percepito le prime note di "Musical Box", un brano che ascolto da quasi trent'anni (eh, cosa si pretende, ho cominciato tardi) e mai e poi mai avrei immaginato di poterlo ascoltare dal vivo, per di più suonato da uno dei suoi compositori.


Ho sempre pensato che scrivere di musica sia un po' come scrivere di vino o di dolci, parole  su parole per rendere un senso che la letteratura non può trasmettere, se non con grande sforzo di immaginazione per chi legge e anche per chi scrive. Quindi non starò certo qui a descrivere cosa ho sentito a chi non conosce la musica dei Genesis prodotta tra il 1970 e il 1976. Si informasse che è anche ora, anzi è pure un po' tardi. Non parlo da  fan dei Genesis semplicemente perché non lo sono, il mio fanatismo l'ho speso tutto tra il 1985 e 'il 1990 per i Jethro Tull. Sono uno che ascolta della musica interessante, varia e curiosa, che non mi annoi e che si possa ascoltare 10-100 volte senza mai averne abbastanza. Musica difficile? Non credo proprio! Direi che è musica suonata con degli strumenti musicali, musica nella quale ritmi e variazioni sono un piacere per la mente, un gustoso continuo variare che richiede attenzione, ma che ripaga in emozione.


E sta cosa qua io l'ho trovata in quello che si chiama Prog Rock. I Genesis hanno prodotto molta di questa musica, un genere a cui  qualcuno affibbiò, appunto, l'aggettivo di "Progressive", forse perché era una musica che non stava mai ferma e cambiava forma e contenuto ogni 6 mesi. Progrediva? Bah, forse sì, nel senso che chi la suonava cresceva in dimestichezza con il suo strumento con il tempo e l'applicazione. Fino a raggiungere livelli tali da distaccarsi dalla musica "giovane" semplice e immediata. Fu allora che il Punk riempì gli stadi e tutta la grande produzione di rock intelligente e innovativo finì in un angolo, o nelle mani dei discografici che ne han fatto fabbrica di soldi. Era il 1979. Dopo quella data i musicisti della primigenia schiatta, cresciuti a chitarra, basso, batteria e tastiere (e flauto) ad andar bene hanno inanellato qualche hit di successo portando a casa il quattrino. Ad altri è andata così così e ad altri ancora è toccata la "damnatio memoriae" (Jethro Tull su tutti). Destino questo che colpì, ma per loro stessa volontà, le prima produzione dei Genesis . Infatti il trio (superstite) composto da Banks, Rutherford e Collins prese le distanze dal proprio passato musicale per rivolgere l'attenzione  verso nuove, più concrete (e magnificamente remunerative), frontiere. E' bizzarro, i Genesis riuscirono in qualcosa che nessuno dei loro coevi compagni di viaggio ha conseguito. Svestendo i vecchi panni ed indossandone di nuovi i Genesis sono stati in grado di competere con i mostri delle adunate degli anni '80 (Madonna, Springsteen, Jackson), inanellando successi nel decennio successivo per ritirarsi poi a dorata pensione nel terzo millennio. E no belli, i dischi di quando facevate ricerca sono ancora sugli scaffali, li vendete ancora e ci sono dei pirla come me che non sapendo nulla di tutto il pregresso, hanno consumato i nastri stereo ascoltando cose che nessuna radio aveva, ed ha, cuore di trasmettere. E li ascoltava e li ascolta ancora perché sono indiscutibilmente e inequivocabilmente BELLI, belli da far paura.


La musica dei Genesis di "Foxtrot", di "Selling England by the Pound" non è di immediata fruibilità. E' una musica che la prima volta che la si ascolta, sembra un'accozzaglia di suoni di strumenti, armonicamente intrecciati, ma in una matassa intricata senza capo ne coda. Al secondo ascolto si comincia a cogliere che serve una maggiore attenzione e che quel passaggio, quella scala, quell'arpeggio o quell'accelerazione sono "forti". Al terzo ascolto ormai è tardi, si è diventati dipendenti. I Genesis non vi molleranno più, la voce di Peter Gabriel vi sarà entrata nelle vene e comprenderete le sfumature non di un cantante, ma di un attore, di un interprete.


Steve Hackett ha avuto forza e coraggio di riprendere quella produzione, di raccogliere un gruppo di musicisti BRAVI e di fare udire ancora una volta quella che nei '70 si definiva come "musica celestiale" (ah, nei '70 se ne dicevano di cazzate). Ragazzi che brividi nel Teatro della Luna in questa piovosa primavera lombarda. Steve Hackett sa benissimo che Peter Gabriel, non è più disponibile.  Anche perché, se pure lo fosse, non ha più i 21 anni d'età che servono per dominare quelle melodie con voce limpida e potente. Allora è ricorso ad un onesto e coraggioso cantante Ned Sylvan, a cui va tutta la mia personale stima, un cantante dalle caratteristiche il più possibile simili a quella voce alta e spesso acuta incisa nei master del tempo (preciso che il brano "Carpet crowler" è stato affidato alla voce profonda di Steven Wilson) . E qui a Milano si è rimanifestata l'antica armonia, dolce, ruvida e potente, viva e vibrante. Chi era presente lo ha capito, lo ha registrato e lo ha vissuto. Di occhi rossi non c'erano solo i miei, ve lo assicuro.


Chiudo questo obeso sproloquio con il mio grazie a Steve Hackett, un grazie grosso come una casa. Grazie a te Steve che hai capito che quelle tracce incise 40 e oltre anni fa non sono morte, non stanno morendo e non moriranno mai. Ti aspetto al prossimo giro.


Devo infine ringraziare chi mi ha dato la soffiata, chi mi ha detto che Steve era ancora in giro a suonare "i Genesis", ringrazio quindi il Grande Wazza Canazza (al secolo Aldo Pancotti) la cui mailing list è un prezioso strumento di conoscenza, e poi il saggio Athos Maura curatore di un blog musicale come forse, in Italia, non ce ne sono. Grazie signori ci vediamo alla prossima JT convention!!


Stazione di Inanellamento di Casalbeltrame

Si fa presto a dire che sappiamo tutto quel che c'è da sapere sugli animali che vivono nel nostro sovraffollato continente. Col cavolo! La nostra conoscenza discende da generazioni di uomini che si sono adoperati, spesso oltre ogni ragionevole sforzo, ad indagare i fenomeni che si nascondono in cielo, terra, acqua e ... cespugli.

Riserva speciale della Palude di Casalbeltrame (NO) - Maggio.
Nikon D700 ob. Nikon AF-s 24-70/2.8 G.

Con la ricerca, costante e meticolosa, si possono scoprire tesori sorprendenti. O più semplicemente si può prendere coscienza di essere parte di un sistema, articolato e complesso, più complesso di quanto un'osservazione, anche attenta, lasci intuire. E' questo il caso delle catture e inanellamenti dei volatili. Avevo già assistito qualche anno fa alle operazioni di inanellamento e rilascio presso la stazione di Casalbeltrame. Ma non ero mai stato testimone della fese di cattura e manipolazione.

Il bosco intorno alla Palude. Casalbeltrame (NO) - Aprile.
Nikon D3, ob. Nikon AF-S 17-35/2.8 ED.
Il sentiero messo a nuovo che porta al casone. Casalbeltrame (NO) - Aprile.
Nikon D3, ob. Nikon AF-S 17-35/2.8 ED
Il casone di osservazione. Casalbeltrame (NO) - Aprile.
Nikon D700, ob. Nikon AF-S 70-200/2.8 VR II.

Come funziona tutta la faccenda qui a Casalbeltrame.
Delle reti dalle maglie fitte, roccoli, vengono morbidamente stese tra i cespugli del bosco. I roccoli raggiungono un'altezza di circa 4 metri e coprono distanze di parecchie decine di metri. I piccoli volatili, nei loro spostamenti da un cespuglio all'altro, non riescono a vederle e vi restano impigliati. Dal momento della messa in servizio del roccolo, con periodicità men che oraria, gli inanellatori vanno a verificare se qualche pennuto è caduto in trappola.

Controllo di un roccolo. Casalbeltrame (NO) - Aprile.
Nikon D700, ob. Nikon AF-S 70-200/2.8 ED VR II.
In questi giorni ha piovuto parecchio. Casalbeltrame (NO) - Aprile.
Nikon D3, ob. Nikon AF-S 17-35/2.8 ED.
Una capinera ingarbugliata. Casalbeltrame (NO) - Aprile.
Nikon D3, ob. Nikon AF-S 17-35/2.8 ED
Molto ingarbugliata. Casalbeltrame (NO) - Aprile.
Nikon D300, ob. Nikon AF-S 70-200/2.8 ED VR II

Il tempo tra un controllo e il successivo è il più contenuto possibile al fine di minimizzare la permanenza del volatile nelle maglie della rete. Quindi l'incazzatissimo uccelletto viene liberato e “insacchettato“ in una piccola borsa di tela. Il passaggio successivo consiste nella schedatura dell'esemplare con registrazione delle caratteristiche fisiche dell'animale (dimensioni, peso, sesso e età) e nella sua marcatura con un piccolo anellino codificato, “crimpato” lasco su una zampetta. Quindi è immediatamente liberato. I roccoli vengono monitorati durante tutto l'arco della giornata, dall'alba a dopo il tramonto. Nel caso di pioggia le attività vengono arrestate e i roccoli riposti, onde evitare di fare inzuppare i pennuti impigliati.

Al tavolo di registrazione. Casalbeltrame (NO) - Aprile.
Nikon D3, ob. Nikon AF-S 17-35/2.8 ED.
Misure e cartellino e via sotto un'altra Capinera. Casalbeltrame (NO) - Aprile.
Nikon D700, ob. Nikon AF-S 60/2.8 Micro.
Misura, età e cartellino: sotto un'altra capinera. Casalbeltrame (NO) - Aprile.
Nikon D700, ob. Nikon AF-S 70-200/2.8 ED VR II.
"Chi è sta gente, voglio andare via". Parola di capinera. Casalbeltrame (NO) - Aprile.
Nikon D700, ob. Nikon AF-S 70-200/2.8 ED VR II.
Vi siete sbagliati! Non sono una capinera, io non c'entro! Casalbeltrame (NO) - Aprile.
Nikon D700, ob. Nikon AF-S 70-200/2.8 ED VR II.

Dalla cattura alla liberazione trascorrono pochi minuti, la maggior parte dei quali sono trascorsi nel sacchetto di contenimento. Specifico questo perché alcuni obiettano che in queste operazioni i volatili sono sottoposti a stress eccessivo. Devo ammettere che tutto dipende dall'inanellatore. L'intero processo di manipolazione di queste bestiole, dal peso di 15 grammi, richiede mani esperte, ferme e decise che sanno minimizzare i movimenti riducendoli ai soli essenziali. Mani guidate da occhi altrettanto attenti ed esperti. Insomma, non ci si improvvisa inanellatori. Me lo hanno dimostrato qui a Casalbeltrame dove la perizia dell'operatore mi ha semplicemente ammutolito.

Coniglietti. Ce n'è un casino. Per forza, di volpi neanche l'ombra. Casalbeltrame (NO) - Aprile.
Nikon D300, ob. Nikon AF-S 600/4 ED VR, Gitzo GT5541LS head PC74N

Perché inanellare a che serve?
Serve a capire, come già ho accennato, che non siamo i soli a vivere su questo mondo e che le esigenze umane vanno spesso a grave discapito di quelle di altre specie. A dimostrarlo ci sono i dati di questa stazione che negli anni ha raccolto importanti riscontri sullo stato delle popolazioni dei piccoli migratori, che di piccolo hanno solo peso e misure perché le distanze che coprono fanno impallidire le mille miglia di Alitalia. Grazie agli sforzi dei guardaparco come Alessandro e Piercarlo sappiamo che bastano 10 x 10 metri di canneto a consentire la sosta della lunga migrazione del Pettazzurro o a dare tregua alla Cannaiola e al Cannareccione. La posizione dell'aiuola (si perché questa riserva è minuscola) di Casalbeltrame è assolutamente strategica per la migrazione nord sud di moltissime specie, specie ormai rare e francamente dimenticate dai più. La landa spianata come un biliardo che separa le alture dell'Appennino alla catena delle Alpi, offre ormai pochissimi rifugi ai migratori. In questo deserto,perché a loro deve apparire come tale, le oasi sono gli alvei dei fiumi e frammenti di bosco come la palude di Casalbeltrame, appunto. E qui si concentrano, si radunano, si incontrano volatili di tutti i tipi. Ma che non si tratti di passaggi casuali e che effettivamente la biodiversità ha necessità di luoghi come questo, lo dimostrano le liste delle catture e, soprattutto, le ri-catture di Casalbeltrame. Il valore della biodiversità nell'ecologia del nostro pianeta non credo che sia un concetto ancora da dover discutere. Sono lì fotografati, nella pietra degli strati geologici, gli eventi di contrazione delle diversità delle specie viventi. E sono tutte testimonianze di catastrofi che lasciano pochissimo spazio alla speranza. Allora grazie alle persone che si sbattono senza misura per raccogliere informazioni, dati numeri e cifre, nozioni che, inanellate in sequenza possono dirci dove stiamo andando nel bene e, ahimè, nel male.
Quindi a voi che venerdì pomeriggio vi siete pure presi una bella lavata di metà Aprile, non posso che dire grazie per l'impegno anche da parte di chi nemmeno non sospetta che esista chi si occupa di cose diverse dal calcio, dalla finanza dalle automobili ecc ecc.

Io l'ho scampata per il rotto della cuffia.


Ciao Enzo

Degli anni '70 ho due due forti sensazioni di rimando. Una è legata all'America del frisbee e dello skateboard, della famiglia Bradford e degli americani lunghi, secchi e zazzeruti, un'America tutta colorata e su cui splende sempre il sole. In contrapposizione c'è il ricordo, tutto italiano, dei bollettini di guerra del TG, dei gambizzati, delle bombe, dei rapimenti sanguinosi, della nebbia umida e di un inverno che sembrava non finire mai. Ma in tutto quel grigiore ricordo anche un varietà RAI che, seppur in bianco e nero, colorava le domeniche di molti bambini. Ad animarlo c'erano due guitti, Cochi e Renato, e la canzone di chiusura del loro spettacolo, insieme ad altre masticate, urlate e squadernate nel suo divenire, era "la vita l'è bela" di Enzo Jannacci. Allora non sapevo che a scrivere quel brano fosse stato lui, lo stesso autore di "vengo anch'io", canzone di cui a casa girava un 45 giri sul cui lato B vi era la triste "Giovanni telegrafista". Anche di quel 45 giri mi ricordo bene, chissà che fine ha fatto, se è in soffitta o in qualche credenza. Di quegli anni '70 grigi e nebbiosi parlava invece "Vincenzina" un pezzo che sentii per bene, da una audiocassetta, solo ai tempi dell'università. E' un brano struggente scritto con Sandro Ciotti, musicato e cantato da Jannacci. Memorabile il passaggio sulla partita del Milan, che non vince e "il padrone non c'à neanche sti problemi qui" (un riferimento chiaro all'Avvocato). Poi il Milan lo comprò il Berlusca e la storia cambiò. E io, per nostalgia di San Siro a 2 anelli e dei campionati della salvezza, ho smesso di seguire il calcio (però dopo la seconda coppa dei campioni). Jannacci cantava in modo sgangherato, apparentemente malfermo. Invece il Dottor Jannacci (e sì perché era medico chirurgo) è stato un grande musicista. Un po' rock, un po' jazz, molto, ma molto, inimitabilmente, Jannacci, unico e irripetibile.

Stampe bianconero baritate, roba fatta in casa. Meriterebbero un servizio migliore questi scatti, ma in questo momento proprio di tempo non  ne ho.
Mi riservo in futuro di scansionare questi negativi che conservo come reliquia  a ricordo di un pomeriggio molto particolare.

Lo ricordo in queste immagini del 1995 scattate alla fiera di Arona. Mi ci mandò il Corriere di Novara, o meglio, feci carte false per rendermi disponibile a fare due scatti alla manifestazione. Ricordo che arrivai, accompagnato dal mio amico Marco, nel primo pomeriggio. Mi piazzai sotto il palco e sfoderai tutto l'arsenale fotografico. Il teleobiettivo più è grosso, più induce rispetto e considerazione (prima legge del fotogiornalismo di provincia di fine millennio inizio successivo). Enzo Jannacci arrivò intorno a metà pomeriggio con la band, un gruppo di giovani musicisti e tra questi suo figlio, fece il sound check e poi via. Lo spettacolo fu bello, ricordo bene, coinvolgente e fresco. Le canzoni riarrangiate in chiave jazz erano un piacere tanto per chi ascoltava che per chi le suonava. Quella serata volò via leggera, con la brezza di Giugno che accarezza il lago. Feci le mie foto in Bianco e Nero per il giornale e un rullo di diapositive ad alta sensibilità, un lusso. Il tutto combattendo la solita illuminazione indecente dei concerti e i tempi di otturazione sempre, dannatamente, troppo lunghi.

Fiera di Arona - Giugno 1995

Jannacci, musicista milanese, scanzonato e selvaggio come non ne verranno più. Perché non ce ne sono più di milanesi che parlano italiano e pensano in dialetto. Ma attenzione, Jannacci non è stato un cantante del dialetto, no no, lui il dialetto lo usava come intercalare, come rafforzativo. Come si usava fare in casa nostra dove mio padre e mia madre le cose serie e importanti, o semplicemente intime, se le sono sempre dette in dialetto. Ho scoperto solo ora che Jannacci era coscritto di mio padre, cioè un ventenne degli anni '50. Anzi di più Jannacci era di 20 giorni più vecchio di mio papà. Coincidenze della vita, ma mi spiegano la simpatia con cui mio papà, avarissimo di esternazioni musicali, guardava il musicista milanese.


Solo ora realizzo che quel concerto del 1995 era il concerto dei 60 anni di Jannacci. Un compleanno festeggiato cantando su un palco, davanti al suo pubblico. Jannacci, ti saluto come ti salutai allora alla fine della serata: standing ovation e Bravo, anzi “Braff”.